giovedì 6 novembre 2014

Pesca e Mandorla

"Mi capita troppo spesso di non riuscire a dormire, e non riesco proprio a capire il perché. Ad esempio questa notte sono stata a letto tre ore prima di addormentarmi e adesso mi sento stanca." dice la pesca mentre sistema delle carte nell'armadio nell'angolo più nascosto della stanza.
"Magari c'è qualcosa che ti preoccupa" dice la mandorla attenta per le sorti della collega, senza però distrarsi da ciò che sta scrivendo.
"Non è così, almeno, alcune preoccupazioni ci sono, ma non sono cose così gravi da non farmi dormire. Non riesco proprio a capire il perché, forse devo stancarmi di più."
"Dai pesca non raccontarmela, cosa ti preoccupa?"
"Perché non sei convinta? Perché io non lo sono.."
Dopo un breve momento di silenzio ripresero a parlare di lavoro e tutto tornò ad essere corroso dal nulla della routine.
Come si può pretendere che una pesca dica tutto.
Come si può sperare che in un momento imprecisato della vita dica tutto di ciò che ama e che odia.
Come si può desiderare che metta alla luce ciò che sta crescendo nel suo cuore.
La pesca potrebbe rimanere senza polpa, potrebbe rimanere nuda.
La pesca ha paura a confessare che sotto tanta dolcezza c'è un nocciolo che a nessuno piacerebbe guardare, figuriamoci ascoltare.
Quanta tristezza prova la pesca per ciò che ha nel cuore di inespresso.


martedì 14 gennaio 2014

La Grande Bellezza (monologo finale)



Finisce sempre così … con la morte. Prima però c’è stata la vita, nascosta sotto il bla bla bla bla
E' tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore, il silenzio e il sentimento, l'emozione e la paura.
Gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza, e poi lo squallore disgraziato e l'uomo miserabile.
Tutto sepolto dalla coperta dell'imbarazzo dello stare al mondo bla bla bla... altrove c'è l'altrove...io non mi occupo dell'altrove dunque che questo romanzo abbia inizio, infondo è solo un trucco, sì, è solo un trucco. 
(Jep)

mercoledì 5 giugno 2013

Addomesticare

”Ma tu cerchi delle galline?”
“No cerco degli amici. Che cosa vuol dire addomesticare?” Chiese il piccolo principe.
“È una cosa da molto dimenticata. Vuol dire Creare dei legami”
“Creare dei legami?”
“Certo,” disse la volpe. “Tu, fino ad ora, per me non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi noi avremo bisogno l’uno dell’altro. Tu sarai pe me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo.”
La volpe continuò. “La mia vita è monotona, mi annoio. Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà come illuminata. Conoscerò il rumore dei tuoi passi che sarà diverso da tutti gli altri. I passi degli altri uomini mi fanno nascondere, ma i tuoi mi faranno uscire dalla tana, come una musica.
Per favore addomesticami. Se vuoi un amico addomesticami!”
“Volentieri!” Rispose il piccolo principe. “Ma che bisogna fare?”
Bisogna essere molto pazienti, In principio tu ti siederai un po’ lontano da me. Io ti guarderò con la coda dell’occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po’ più vicino.”

Antoine de Saint-Exupéry

sabato 21 gennaio 2012

Il lato positivo di ciò che abbiamo perso II

Il progresso nei vari campi dove l'uomo si distingue dagli animali ha conservato in se una sorta di regresso obliando e stravolgendo ciò che distingueva ontologicamente tali ambiti. Di conseguenza si è modificata anche la postura della libertà dell'uomo verso quei campi rendendo il regresso ancora più marcato.
La tendenza è, sempre di più, quella di un continuo e veloce soddisfacimento di certe libertà, dei propri desideri portando l'uomo a grande velocità a scontrarsi con il vuoto di senso che lo inghiotte facendogli capire, senza dare spiegazioni o soluzioni, che quella forse non è la strada giusta verso la felicità.
Tutto ciò che si desidera deve poter essere! Tutto nel momento in cui lo voglio!
E quando l'altro non mi vede anche tutti i miei desideri più reconditi e, soprattutto, inconfessabili devono essere soddisfatti. Si allarga a dismisura il campo dei desideri, si allarga la loro velocità di esecuzione e ovviamente anche la loro qualità.
Il progresso dell'umano frutto, forse, di una secolarizzazione estrema e della banalità del male dei totalitarismi, ha lanciato l'uomo a velocità altissima nella sua personale ricerca di senso che ormai è andata a trasformarsi in una ricerca di senso e felicità immediate e che non potrà da sola ritornare ad essere ricerca di senso e basta.
Di fronte alla profondità dell'abisso che abbiamo dentro e che la felicità-senso-immediata non può colmare forse un giorno desidereremo di volgere il nostro sguardo altrove, a prima di noi, al modo in cui nel passato guardavano e vivevano le cose della vita.


mercoledì 7 dicembre 2011

Il lato positivo di ciò che abbiamo perso


Un uomo si sveglia e si trova solo.
Questa frase, semplice e senza significato, dice tutto. Dice dell'inizio di una storia. Dell'inizio di quello che è successo. E' il racconto di una nuova vita, talmente nuova da rendermi conto di non aver mai capito, fino a quel momento, cosa fosse vivere e amare, vestirmi, mangiare, scaldarmi, costruire, lavorare. Ma forse tutto ciò che ho vissuto prima era necessario per capire ora. Anche se la vera lezione di vita è ciò che qui fino in fondo non potrà mai essere scritto, perché dovrà essere vissuto. Le parole sono inadeguate, ma un tentativo vale la pena di farlo. L'esperienza rimane l'unica strada per rendere chiara la verità delle cose. Solo con la pratica della vita vissuta si può completare ciò che leggiamo, scriviamo e ascoltiamo, altrimenti è inutile leggere, scrivere ed ascoltare. Nient'altro.


sabato 24 settembre 2011

Walter Bonatti (1930-2011)

...L'azione mi ha portato a sognare, a temere, a esaltarmi, ed era ancora l'azione il più delle volte che scaturiva dal sogno e dalla mia sensibilità. E' proprio grazie a questi preliminari se ho potuto compiere ogni volta un viaggio affascinante dentro me stesso per meglio scrutarmi, capirmi, e anche comprendere maggiormente gli altri e il mondo attorno a me. 
... Ho più chiaro in cuor mio che delle mete regalate non hanno valore, poiché vanno prima sognate e poi guadagnate. ...






domenica 14 agosto 2011

Ciamel amuur - Davide van de Sfross (tradotto)


Per datt el teemp de scapà 
ho pruà a fermai cun la gona bèla 
l'ünica che gh'eri in teemp de guèra 

Per datt el teemp de ruà al cunfin 
quela gona la s'è svutzada 
anca se gh'era mea de veent 

Faseven ropp che pensavi mai 
senza gnanca tirà fëe i stivaij 
gh'eri pagüüra ma disevi "dai" 

Vardavi el müür cun pugiaa i füsiil 
e quanti suddà tücc in un fieniil 
e gh'eri vergogna a vardà'l campaniil 

Te, ciàmel amuur 
anca se l'eet mai savüü 
te ciàmel amuur 
anca se t'ho piëe vedüü 
ciàmel amuur 
ciàmel amuur 
ciàmel amuur 
o ciàmel nagott 

L'è sta dificil circulà in paees i 
me cundanaven senza dill 
de nocc quaivedoen ruava là al fienil 

E me ho imparà a diventà 'n sass 
a supurtà qualsiasi pass 
a rutulà senza lamentass 

Faseven ropp che pensavi mai 
e gh'eren suriis che me pareven taj 
e i me resànn pudevi mea spiegai 

E fa nagott se m'hann tajà i cavej 
fa nagott se m'hann s'cepaa l'umbriia 
se questa ca' po piëe vess la mia 

Cun quanti lacrim ho bagnaa sto fee 
ma ho sentü dii che te ste et bee 
in quel paes insema ai furestee 

Te ciàmel amuur 
anca se l'hann mai capii 
per piasè ciàmel amuur 
anca se me l'ho mai dii 
Ciàmel amuur 
ciàmel amuur 
clamum amuur 

(www.angolotesti.it)

Traduzione

Per darti il tempo di scappare
ho provato a fermarli con la gonna bella
l'unica che avevo in tempo di guerra

Per darti il tempo di arrivare fino al confine
quella gonna si è alzata
anche se non c'era neanche un po' di vento

Facevamo cose che non avrei mai pensato di fare
senza nemmeno togliere gli stivali
avevo paura ma dicevo...dai

Guardavo il muro con appoggiati i fucili
e quanti soldati tutti in un fienile
e avevo vergogna a guardare il campanile

Hei, chiamalo amore
anche se non l'hai mai saputo
Hei, chiamalo amore
anche se non ti ho più visto
chiamalo amore 
chiamalo amore
chiamalo amore
o chiamalo niente

E' stato difficile girare in paese
mi condannavano senza dirlo
di notte quando qualcuno arrivava là al fienile

E io ho imparato a diventare un sasso
a sopportare qualsiasi passo
a rotolare senza lamentarsi

Facevamo cose che non avrei mai pensato di fare
e c'erano sorrisi che mi sembravano tagli
e le mie ragioni non potevo mica spiegarle

E a non far niente mi hanno tagliato i capelli
e a non far niente ni hanno spaccato l'ombra
se questa casa non può più essere la mia

Con quante lacrime ho bagnato questo fieno
ma ho sentito dire che stai bene
in quel paese assieme agli stranieri

Hei, chiamalo amore
anche se non l'hanno mai capito
per piacere, chiamalo amore
anche se non l'ho mai detto
chiamalo amore
chiamalo amore
chiamalo amore

mercoledì 15 giugno 2011

Alain Finkielkraut "Un cuore intelligente", recensione


Cosa significa “cuore intelligente”? Dopo aver letto il libro di Alain Finkielkraut ho dovuto approfondire il significato salomonico del concetto visto che dal testo non si emerge con una definizione chiara.
Il libro inizia proprio dal re Salomone che nell’Antico Testamento implora l’Altissimo di concedergli un cuore intelligente. Quasi una via di mezzo tra un’intelligenza strumentale ed utilitarista e un’altra che è il suo contrario, cioè basata sull’ignoranza, sul solo sentimento e sul pregiudizio. La via di mezzo, per lo scrittore, è quindi definibile “sagacia affettiva”, ma ancora non si comprende cosa sia davvero.
Per risolvere il quesito, dato l’indubbio silenzio di Dio, allora Finkielkraut si affida alla letteratura con la speranza (quasi certezza) di trovare una risposta. La risposta cercata è duplice, capire cosa sia un cuore intelligente, visto che non è per nulla chiaro, e diventare nel contempo intelligenti di cuore visto che Dio non vuole o forse è infondo incapace di dare visto il suo silenzio. Finkielkraut inizia così da Salomone che domanda a Dio un qualcosa di non spiegato ma intuitivamente desiderabile e successivamente cerca una risposta in un luogo non indicato da Salomone ma da se stesso, un luogo quindi forse errato, non adeguato per la risposta.

Salomone il Saggio durante i primi anni di regno un giorno si recò sull’altura di Gabaon per offrire olocausti a Dio. Il Signore apparve a Salomone chiedendogli: «Chiedimi ciò che io devo concederti». Salomone non risponde direttamente, ma per arrivare alla richiesta parte dalla sua storia, cioè da Davide suo padre. Salomone dice a Dio: « ...io sono un ragazzo; non so come regolarmi. Il tuo servo è in mezzo al tuo popolo che ti sei scelto, popolo così numeroso che non si può calcolare né contare. Concedi al tuo servo un cuore docile perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male, perché chi potrebbe governare questo popolo così numeroso?» (1 Re 3,7-9) E il Signore rispose a Salomone: «...Ecco, ti concedo un cuore saggio e intelligente: come te non ci fu alcuno prima di te né sorgerà dopo di te. » (1 Re 3,12)

Salomone chiede di avere un cuore docile a Dio, lo chiede sottolineando il fatto di non essersi scelto quel ruolo e quel popolo e che quindi, vista la possibilità datagli da Dio, chiede con fermezza la capacità di governare con saggezza. In risposta riceve il dono chiesto e molto altro grazie alla sua umiltà per non aver chiesto ricchezze e vita eterna.
Cosa ci fa capire questo passo citato dalla bibbia? Ci fa capire, stando al testo, innanzi tutto che nella storia l’unico uomo a ricevere un cuore intelligente è stato il re Salomone. L’altra cosa che si può capire è che a donargli la saggezza è stato Dio, il Dio ebraico. L’unico capace di donare un cuore intelligente fin’ora, stando alla bibbia, è stato Dio. Nella storia che conosciamo, per quanto la bibbia possa essere un’attendibile fonte storica, questo solo caso.
Alain Finkielkraut nel suo personale e duplice tentativo di conoscere e di ottenere un cuore intelligente inizia la sua ricerca dalla richiesta a Dio di Salomone ma abbandona subito senza nemmeno fare un tentativo quell’ambito dove proprio Salomone, e nessun altro dopo di lui, era riuscito a ricevere una risposta. Esclude che oggi sia ancora possibile chiedere a Dio un cuore intelligente. Esclude a priori questa possibilità dicendo che Dio tace e non interviene nelle nostre vicende, quindi è molto probabile che non esista nemmeno.
Il problema non è l’affermare qui che Dio oggi abbia questa capacità, ma il problema è che se si prende sul serio l’implorazione di Salomone nella richiesta di una saggezza trascendentale allora si deve, almeno come possibilità, tenere in considerazione l’unico che ha risposto a una così importante preghiera. Finkielkraut esclude così il rapporto con Dio e  l’unico ambito che sceglie di scandagliare è la letteratura senza la quale la grazia di un cuore intelligente ci sarebbe preclusa; coma dice nell’introduzione e nella conclusione.


Riassumendo la ricerca che viene intrapresa dal filosofo francese inizia con due incertezze. La prima è che non si spiega minimamente cosa sia o potrebbe essere un cuore intelligente e la seconda è che l’ambito dell’analisi esclude a priori l’unico luogo dove Salomone trovò una risposta alla sua richiesta, senza dare soddisfacenti motivazioni.

La letteratura è l’unico ambito scandagliato, è l’unico ambito che può far capire qualcosa all’uomo, l’unico che lo fa crescere. Pretesa forse eccessiva, che comunque ha del vero. Sì, la letteratura educa l’uomo ma non da sola, può essere pericolosa senza educazione. Finkielkraut tenta proprio in questa direzione, facendo una scelta tra le opere più importanti del ‘900 e cercando di introdurre il lettore, e se stesso, ad una crescita graduale. Ogni testo dovrebbe dirci un po’ alla volta come dovrebbe essere, ed essere utilizzato, questo cuore intelligente.
Stando alle premesse questo libro dovrebbe essere come un sentiero che una volta percorso ci dovrebbe far trovare in cima alla montagna, più uomini che mai e pronti a scendere nella società assolutamente preparati ad affrontare qualsiasi situazione. Con migliori risultati ovviamente dei nostri antenati immersi nelle vicende umane particolari del secolo passato. Quindi uomini nuovi dotati di un cuore nuovo, saggi, intelligenti che non cadranno più in illusioni perniciose come fascismi, comunismi, razzismi e pregiudizi dominanti. Finalmente la libertà e la verità saranno dell’uomo. Quante pretese.... Sicuramente la letteratura non è in grado da sola.

Facendo un certo sforzo ho cercato di passare oltre le mie obiezioni iniziali ed ho sottoposto il mio giovane cuore ai consigli narrativi di Alain Finkielkraut. Ecco cosa il mio cuore ha guadagnato. Su nove romanzi solo tre mi hanno colpito:

Tutto scorre – Vasilij Grossman 

«Il Male, in altri termini, non deriva da una degenerazione dello slancio originario. Il Male è nello slancio stesso, nel fatto di localizzare il Male, attribuirgli nome e indirizzo e dedicarsi con foga redentrice al suo annientamento.» (47)

«chi ha inventato quella parola: kulakaglia? Che sia stato Lenin? Quale tormento si è addossato! Per ucciderli, si è dovuto spiegare che i kulaki non erano uomini. Sì, come quando i tedeschi dicevano: i giudei non sono uomini. Questo “come”, questa insopportabile analogia fra coloro odiavano i kulaki in nome dell’amore per l’umanità e coloro che odiavano l’umanità nell’ebreo si è faticosamente aperta una strada nella mente [...] Ancor oggi riflettere su tale analogia è cosa estremamente delicata» (50)

Il primo uomo – Albert Camus

«Ma Camus ha anche un altro motivo per pronunciare la sacrilega sconfessione di quella Grande Fagocitatrice che è la storia: la fortuna di essere stato povero in mezzo alla bellezza; l’esperienza giovanile della debordante generosità del’’essere. Il primo uomo rende grazie alla povertà perché, non avendogli messo a disposizione artifici, apparecchi, strumenti, divertimenti e tutti i diaframmi che ovattano le esistenze dei borghesi, gli ha permesso di vivere a diretto contatto con gli elementi. Nessuna ricchezza lo separava da lusso del mondo naturale. Quel mondo, lui non lo ha soltanto contemplato. Prima di diventarne, una volta pacificato, spettatore, lo ha gustato, toccato, assaporato, respirato e si è ubriacato senza limiti dei suoi aromi; ha corso a perdifiato, ha nuotato nella tiepida acqua del mare, ha vissuto sotto il sole in uno splendore regale. Sprovvisto del superfluo, a anche di una parte del necessario, ha conosciuto la forza e la gloria. [...] La privazione non è soltanto uno scandalo: in alcuni luoghi, in alcuni momenti, è un privilegio, e persino una grazia. E ciò che lui, Camus, deve alla cultura non è aver potuto provare quella grazia ma poterla esprimere.» (99-101)

La macchia umana – Philip Roth

«“Tutti sanno” [...] è questo il lugubre ritornello della Macchia Umana. Tutti sanno: il cliché piomba con tutto il suo peso nella vita reale. Tutti sanno: un narratore senza volto formatta il mondo umano. Tutti sanno: gli uomini che si sono liberati della tradizione cadono sotto il giogo dell’opinione; il vuoto lasciato dal potere visibile della comunità è sostituito dall’anonimo potere sociale [...] e il professore constata con spavento che i principi pedagogici adottati per sottrarre il cuore e la mente dei figli al dominio del Tutti sanno non sono serviti assolutamente a nulla: “ Con tutta l’istruzione prescolare che avevano ricevuto. Con tutte le cose che gli avevano letto i genitori. Le enciclopedie. La preparazione prima delle interrogazioni. I dialoghi durante la cena. Gli infiniti ammaestramenti sulla multiforme natura umana. L’analisi del linguaggio.” – ed ecco che quel figlio superficiale erettori a Super Io accetta fantasie hollywoodiane come se fossero verità. Tutti sanno, o del clamoroso fallimento della cultura» (128)

Preferisco lasciare le citazioni senza commento perché si commentano da sole. Ecco cosa ho guadagnato da questa lettura, una serie di preziose esperienze di romanzo che possono essere utili nella mia vita ma che sono ben lontane dal produrre in me un Cuore Intelligente.

mercoledì 1 giugno 2011

Amartya Sen al Festival dell’Economia di Trento


26 maggio 2011

N.B. Quanto segue è la trascrizione di appunti non rivisti dai relatori, ma solo ed esclusivamente dal sottoscritto.
  
Il festival dell’Economia di Trento 2011 dal titolo “I confini della libertà economica”, quest’anno ha invitato per l’inaugurazione l’economista Amartya Sen, premio Nobel 1998 conosciuto nel mondo per i suoi studi sul rapporto tra libertà ed economia.

Nessuno meglio di lui avrebbe potuto iniziare la kermesse trentina di quest’anno. Così inizia Tito Boeri (direttore scientifico) che, dopo aver fatto una breve ma convinta presentazione del festival, spiega alla platea del Sociale chi sia questo Amartya Sen. Infatti molti uditori sono lì senza conoscerlo, perché invitati da qualche professore o conoscente; o per ascoltare l’unico economista che ha reso accessibile l’economia anche ai non addetti. Infatti i suoi libri sono alla portata di tutti, utilizzando termini semplici che chiunque può capire. Questo però non vale del tutto anche per i contenuti che, a mio parere, possono essere facilmente fraintesi e interpretati a piacere (politico o ideologico)...come ha dimostrato il dibattito finale. Boeri spiega che Sen è l’unico economista contemporaneo ad aver trattato il rapporto tra libertà ed economia di mercato, analizzando i rapporti tra libertà e dittatura.

Prende la parola Stefano Zamagni (presidente dell'Agenzia per le Onlus), presente all’incontro in quando amico di Sen dai tempi della sua specializzazione all'Università di Oxford. Zamagni cerca di spiegare la specificità degli studi di Sen sulla libertà. A differenza di Boeri, Zamagni va più a fondo descrivendo le tre aree di studio nelle quali Sen ha lavorato negli ultimi decenni.
La prima area riguarda le effettive libertà che l’economia di mercato non valuta, che lascia fuori dai suoi calcoli. Aspetto che poi Sen approfondirà nel suo intervento.
La seconda riguarda l’analisi del rapporto tra povertà e disuguaglianza che trova la sua origine non in una mancanza di reddito ma prima ancora in una mancanza di libertà. Sen introduce una nuova definizione di libertà. Prima si conosceva la libertà di non essere invasi, cioè una libertà da; e una libertà come immunità, cioè una libertà di. Sen innova il concetto di libertà con un nuovo significato, libertà come capacità. Zamagni sottolinea questo sviluppo come necessario visto che i primi due significati oggi non bastano più. Così Sen può costruire la specificità del suo pensiero che si può riassumere come libertà di poter scegliere.
La terza area è l’epistemologia, cioè lo studio dei fondamenti e delle ragioni dell’economia. Lo fa affermando che l’economia nasce da una costola dell’etica. Questa posizione si contrappone a quanti sostengono l’impossibilità di un rapporto tra economia ed etica, cioè in chi si basa sull’assunto che vede l’uomo come un Homo economicus. Chi separa così i due campi attua una specie di “secolarizzazione” dell’economia. Sen è convinto che non si possa separare ciò che nell’uomo, e nella realtà, si trova unito.
Il filone nel quale Sen si inserisce è lo “Experimental Economics”. Vuole allargare il ragionamento economico dimostrando di essere un’antiriduzionista.
Zamagni conclude dicendo che Sen unisce due linee di pensiero che in Grecia e in India erano unite. Riannoda il Pensiero Calcolante e il Pensiero Pensante nella convinzione che si possa fare economia senza separare i due campi.

Amartya Sen inizia la sua Lectio Magistralis dicendo che il titolo del proprio intervento potrebbe essere “La portata e i limiti della libertà economica”. Sen inizia parlando della crisi del 2008 che coinvolse l’economia mondiale. Quella crisi, dice Sen, creò grande imbarazzo per il fatto che toccò i singoli risparmiatori che persero in prima persona i loro risparmi. L’etica che stava alla base dell’economia di mercato e che spinse le società a guardare sempre meno l’uomo espandendo a dismisura le proprie libertà fu il guadagno accompagnato da un eccesso di libertà.
Sen si chiede: «Ma cosa si dovrebbe fare per risolvere i problemi che la crisi ci presenta ancora oggi? Si dovrebbe forse tornare a comprendere la definizione di capitalismo? E nel qual caso quali caratteristiche dovrebbe avere oggi dopo tutte le sue trasformazioni il capitalismo?»
Le tre principali caratteristiche del capitalismo sono il mercato, la proprietà privata e l’utile. Stando ai manuali queste tre sono necessarie, ma se si guarda la realtà del giorno d’oggi le caratteristiche sono altre per il fatto che la maggior parte delle transazioni avviene fuori dai mercati e non sono nemmeno incentrate sul profitto. Quindi si può dire che la parola capitalismo è usata impropriamente. È esaurita.
Qui Sen fa una piccola parentesi dicendo che uno dei motori dell’economia è la fiducia. Questo aspetto non è considerato dai manuali. La fiducia si trasforma in guadagno e in moneta, infatti il suo contrario, la sfiducia, congela i mercati del credito.
Tornando al 2008 il problema è stato che il capitalismo ha avuto, ed ha ancora, la sua forza nelle omissioni e non nelle commissioni. Omette certi fattori per dare spazio illimitato alla libertà di guadagno, all’utile. Il suo grande limite è stato il mercato monolitico del profitto non votato alla varietà. Ha omesso la libertà umana che non lo ha potuto correggere, a causa della sua fissità, nei casi in cui aumentarono la povertà, l’ineguaglianza e l’iniquità.
Con questo Sen vuol dire che è sbagliato cercare di capire qual è il miglior tipo di capitalismo in base a caratteristiche passate e non più attuali. Per capire quali dovrebbero essere gli equilibri tra stato e istituzioni si dovrebbe comprendere cos’è la libertà economica. Si dovrebbe capire di cosa è fatta la vita vera condotta nel concreto dalle persone. Si dovrebbero capire le cause della ricchezza e della povertà reali, quali siano le libertà di cui godono le persone e che vita hanno nel quotidiano.
Quali sono le capacità dell’uomo in una data situazione? Quali diritti una persona può effettivamente praticare? Cosa può fare uno stato per permettere ad un individuo di poter fare ciò che desidera? Solo con queste domande si potrà trovare una soluzione alla crisi.

Il fine ultimo al quale tende la democrazia, come unica forma di governo capace di far emergere ciò che l’uomo desidera e di cui ha bisogno nel concreto, è la libertà come capacità.
Oltre ad essere e fare ciò che ritengo più giusto, dopo essermi confrontato in un ragionamento pubblico proprio della democrazia, l’aspetto principale è quello di poter decidere cosa voglio scegliere. Per essere veramente libero devo poter fare “qualsiasi” cosa, anche se quel qualcosa non è la mia professione. Devo avere libertà di scelta.
Non si deve limitare la libertà ma espanderla, liberare l’idea di libertà.


giovedì 12 maggio 2011

Emili Dickinson F650 (1863) / J548 (1862)



To fill a Gap
Insert the Thing that caused it -
Block it up
With Other - and 'twill yawn the more -
You cannot solder an Abyss
With Air.
   
Per colmare un Vuoto
Mettici la Cosa che l'ha provocata 
Bloccalo
Con Altro si spalancherà ancora di più
Non puoi saldare un Abisso
Con l'Aria.


domenica 8 maggio 2011

Liberazione N°2


Non mi basta stasera 
un libro o una canzone

o un amore di donna,
né può la confusione respingere la noia
di una vita mancata…


Ma Tu, Tu solo puoi riempire il vuoto della mia mente,
aprire il cuore di chi non sente…
e poi giocare coi miei pensieri, farmi sentire come nato ieri.


Non darò la mia vita, unica eppure vuota
alla politica idiota
o ad un altro ideale inventato da me
di cui resto padrone o schiavo…


Ma Tu, Tu solo puoi riempire il vuoto della mia mente,
aprire il cuore di chi non sente…
e poi giocare coi miei pensieri, farmi sentire come nato ieri.


Questo amore strano è nato come un figlio
che nessuno ha aspettato,
e perché proprio adesso vogliam farci padroni
di un amore donato?


Ma Tu, Tu solo puoi riempire il vuoto della mia mente,
aprire il cuore di chi non sente…
e poi giocare coi miei pensieri, farmi sentire come nato ieri.


 parole e musica di Claudio Chieffo http://www.claudiochieffo.com

giovedì 7 aprile 2011

In Un Giorno Di Pioggia


Is è mo laoch, mo ghile mear 
Is è mo Shaesar 
ghile mear 
Ni fhuras fein aon tsuan as sean 
o chuaigh i gcein mo ghile mear 

Addio, addio e un bicchiere levato al cielo d'Irlanda e alle nuvole gonfie. 
Un nodo alla gola ed un ultimo sguardo alla vecchia Anna Liffey e alle strade del porto. 
Un sorso di birra per le verdi brughiere e un altro ai mocciosi coperti di fango, 
e un brindisi anche agli gnomi a alle fate, ai folletti che corrono sulle tue strade. 

Hai i fianchi robusti di una vecchia signora e i modi un po' rudi della gente di mare, 
ti trascini tra fango, sudore e risate e la puzza di alcool nelle notti d'estate. 
Un vecchio compagno ti segue paziente, il mare si sdraia fedele ai tuoi piedi, 
ti culla leggero nelle sere d'inverno, ti riporta le voci degli amanti di ieri. 

E' in un giorno di pioggia che ti ho conosciuta, 
il vento dell'ovest rideva gentile 
e in un giorno di pioggia ho imparato ad amarti 
mi hai preso per mano portandomi via. 

Hai occhi di ghiaccio ed un cuore di terra, hai il passo pesante di un vecchio ubriacone, 
ti chiudi a sognare nelle notti d'inverno e ti copri di rosso e fiorisci d'estate. 
I tuoi esuli parlano lingue straniere, si addormentano soli sognando i tuoi cieli, 
si ritrovano persi in paesi lontani a cantare una terra di profughi e santi. 

E' in un giorno di pioggia che ti ho conosciuta, 
il vento dell'ovest rideva gentile 
e in un giorno di pioggia ho imparato ad amarti 
mi hai preso per mano portandomi via. 

E in un giorno di pioggia ti rivedrò ancora 
e potrò consolare i tuoi occhi bagnati. 
In un giorno di pioggia saremo vicini, 
balleremo leggeri sull'aria di un Reel.

www.angolotesti.it

giovedì 17 febbraio 2011

Egitto, Iran e Tunisia fanno i conti con la libertà

Una libertà nuovamente desiderata
Da qualche mese sta succedendo qualcosa di veramente significativo. In Egitto e Tunisia c’erano due dittature che, in misure diverse, impedivano agli uomini di essere liberi. Tale desiderio era così ostacolato che le persone quasi si dimenticavano di avere certi diritti e libertà. Ma in loro fortunatamente la pianta aveva ancora radici. Poco è bastato a ridestarli, a fargli ricordare che per essere felici non bastava avere del cibo ogni giorno in cambio dell’assenso. Non bastava avere una piccolissima fetta di economia per illudersi di essere a posto. Fino ad allora i dittatori erano riusciti a tenerli in pugno con poco.
Ma d’un tratto il pane costa troppo, l’economia si blocca, la fame aumenta e le promesse di libertà, fatte spesso ma mai realizzate, esauriscono il loro effetto e risvegliano i cuori delle persone. Molti aprono gli occhi e scoprono di non essere soli si fanno forza e vanno in piazza a protestare. Sono felici perché per la prima volta non hanno così paura, non sono soli, si guardano attorno e non sono nel letto da soli a sognare prima di addormentarsi, ma sono lì con altri mille a urlare il loro bisogno di mangiare, di studiare, di avere una casa e di lavorare.
Urlano sempre più forte senza stancarsi, sono stufi della mancanza di strutture, dei problemi economici dovuti ad una economia malata e ineguale che non fa girare nel modo giusto la ricchezza. Anzi la incanala solo in certe direzioni. Le proteste continuano per giorni. Partecipano molte persone, anche quelle che non hanno poi così problemi economici e, infondo, potrebbero anche pagarsi un viaggio per emigrare. Ma non lo fanno. Anzi, arrivano notizie che alcuni, sentendo delle proteste, tornano a ravvivano la speranza di poter magari poi costruire qualcosa di serio e intelligente.
Sì, perché la paura c’è di fare tanta fatica e rischiare la vita per poi far salire qualcun altro che alla fine si adegua alle meccaniche malate del dittatore diventando lo stesso. Ma se tornano gli emigrati che sanno come va il mondo libero allora si deve urlare più forte.
Purtroppo in Tunisia è successo così. Ben Alì è andato ma è stato sostituito da una copia. Invece in Egitto sarà un’altra storia. In Iran?

La democrazia in Egitto non arriverà (almeno per ora)
In Egitto potrà essere un’altra storia. Ora c’è l’esercito al comando ma aspirare ad un sistema democratico in Egitto sarebbe un grave errore. La democrazia per avere inizio deve avere come base la democrazia. È ovvio che dire così sembra insensato ma non è un errore.
Per prosperare un sistema democratico ha bisogno di un luogo che già vive secondo le caratteristiche della democrazia. La democrazia ha come elementi distintivi un libero dibattito, la possibilità di poter pensare ciò che si ritiene più giusto, una libera informazione. Insomma, un popolo, per poter attuare delle elezioni libere in senso democratico, deve essere libero e deve essere libero in un paese che difende la libertà, un paese che lo mette nelle condizioni di essere libero.
In Egitto, dopo trent’anni di dittatura Mubārak non è in grado subito di intraprendere elezioni libere e sostenere e costruire un nuovo ordinamento democratico. Serve tempo, serve un nuovo capo che guidi il popolo nella libertà. Che lo guidi mettendolo nelle condizioni ideali, politiche e strutturali di poter esercitare le proprie libertà. Deve creare gli spazzi delle libertà, deve insegnare la libertà. È successo così in tutti gli stati occidentali. Iraq e Afganistan sono esempi negativi.

Segnali preoccupanti dalla Repubblica Democratica Italiana
In Italia si parla spesso di Berlusconi come il dittatore italiano. Molti sono andati nelle piazze a manifestare il proprio disappunto contro di lui, contro il suo modo di fare politica troppo personalistico. Sono sicuri di essere anche loro come quelle persone nelle piazze in Egitto, Iran e Tunisia. Anzi, prendono coraggio da ciò che succede lì e sperano di riuscire a far cadere la dittatura anche qui.
Ma c’è un fraintendimento. Anzi, c’è una mancanza di rispetto. Chi crede di dover far cadere una dittatura in Italia manca di rispetto nei confronti di quanti rischiano la vita protestando in Iran. Di quanti non possono avere delle opinioni perché sennò vengono fatti sparire. Non mi sembra che in Italia manchino le libertà di opinione, manchi la possibilità di votare ciò che si vuole senza avere un mitra puntato. Non mi sembra che in Italia si rischi di morire di fame perché un dittatore blocca l’economia, non mi sembra che in Italia chi è al governo abbia fatto un colpo di stato o comprato le elezioni. Basta non votarlo o aspettare che lo giudichino colpevole. Non è sufficiente far processare qualcuno per renderlo colpevole. I processi servono per capire se uno è colpevole. Altrimenti sarebbe semplice far cadere un governo, basterebbe ogni volta accusare il presidente di turno.
Sarebbe comunque un errore non vedere ciò che abbiamo in Italia, ciò che possiamo fare in Italia, che possiamo dire, leggere, diventare e fraintendere l’odio politico che slogan e comportamenti che dovrebbero far vergognare di fronte a tutti quei popoli che non possono essere liberi davvero.



lunedì 31 gennaio 2011

lunedì 10 gennaio 2011

Mani

Il necessario sta dentro la natura. Ma, per averlo, occorre cavarlo fuori, prenderlo con le mani, e la gente le mani non le sa più usare.
       "Sacramento che disgrazia!" dicono. "Non sappiamo più usar le mani."

Mauro Corona, La fine del mondo storto

sabato 4 dicembre 2010

il congiuntivo

Da domani mi metto a ripetere frasi con il congiuntivo, che mi piaccia o no.
Ecco, l'ho appena fatto. Mi piace, anche se dovrò correggerlo in tutte le cose che scriverò.
Se voglio diventare uno scrittore devo imparare a usare il congiuntivo. Certo, il congiuntivo non è necessario per vivere, ma grazie a lui si vive meglio: la vita si riempie di sfumature  e possibilità. Ed io di vita ho solo questa.

Leo in bianca come il latte rossa come il sangue 
di Alessandro D'avenia

lunedì 29 novembre 2010

"The Golden Notebook" "Il taccuino d'oro" DORIS LESSING




Ovvero: "Le parole non sono un mezzo adeguato per descrivere e capire la realtà".
Anna Wulf cerca continuamente di capire la realtà, di capirne il senso, cerca di capire il senso della sua vita di donna attraverso la descrizione scritta e parlata della realtà e di ciò che vive. La sua vita è una continua scrittura analitica di senso. Si giunge alla conclusione finale dove Anna/Doris scopre che le parole e il linguaggio sono mezzo inadeguato e limitato. Era l'unico modo per aprire un varco di senso nel quotidiano ma si scopre sempre ogni volta limitato e inadeguato.
Prova a dividersi in varie donne tentando, almeno nei suoi taccuini, a creare diverse se stessa per capire quante varianti poteva avere la sua vita, per cercare di avvicinarsi il più possibile ad una verità. Sviluppa diverse vite di donna che riprendono alcuni caratteri di Anna (per rendere l'esperimento più efficace era necessario). Ma nessuna nuova Anna si avvicina a capire la verità o un modo per essere felice a sempre. Quindi nessuna trova la soluzione che è simboleggiata dal fatto che la felicità non dura più di pochi giorni. La felicità è, nelle Anne, totalmente legata alle circostanze e questo provoca in Anne depressione e dolore. Vorrebbe comprendere un senso per staccarle almeno un po'. 
Il libro termina con infelicità, rassegnazione al non capire nulla e quindi al non essere in grado di essere felice e libera.
Il libro ha diversi piani di lettura interessanti, tutti riassumibili dai personaggi Anna con estrema libertà e chiarezza di termini. Il suo desiderio di ricerca della verità impone a tutti i personaggi Anna di essere onesta con le varie realtà che affronta, chiamando le cose sempre con il loro nome, combattendo con se stessa quando non riesce a farlo. In ogni Anna c'è onestà e semplicità rispetto alla verità della realtà. I piani affrontati sono molti, la politica (in particolare del partito comunista durante la seconda guerra e la guerra fredda), la psicologia (con le varie personalità), la sensibilità, l'amore, il bisogno di autonomia e l'individualismo,  il rapporto tra madre e figlia, il problema razziale, il non parlare del femminismo ma di donne soltanto, perché lei è donna punto senza il rischio di cadere in secondi fini ideologici. Tutto ciò è affrontato in modo analitico e realista, senza tralasciare particolari scomodi o che si contraddicono, perché vuole capire e quindi non tralascia nulla. 


venerdì 28 maggio 2010

via


lo spazio sufficiente a sopportare il peso del nostro scarpone, in un qualsiasi sentiero, in qualsiasi luogo del mondo.
quello spazio, quel punto preciso sul quale il mio piede poggia per una mia decisione, non è uguale agli altri, ma è di fondamentale importanza per proseguire verso la meta.
il sentiero è fatto di molti punti d'appoggio, ma alla fine ognuno di noi ne sceglie uno solo, come fosse il migliore, perché sa che sugli altri farebbe più fatica.
la vita è una continua ricerca di punti, dove sia più facile vivere, dove sia più facile essere felici, dove sia più facile capire il senso delle cose.
ce ne possono essere più d'uno e nel momento in cui si trovano, diventa davvero difficile e faticoso staccarsene.
perché si sa che un altro appoggio così per il proprio scarpone immediatamente non c'è e si è costretti a mettere il piede su una roccia bagnata, che fa fare fatica e magari scivolare.
questo fortunatamente non preclude il raggiungere la meta, non preclude il camminare sul sentiero e non preclude nemmeno l'essere felici e nemmeno capire il senso delle cose.


venerdì 7 maggio 2010

Il tempo dei cosmonauti

Se potessimo dare un nome a tutto ciò che accade, non ci sarebbe bisogno di storie. Il fatto è che da queste parti la vita supera il nostro vocabolario. Ci manca una parola e cosí si deve raccontare tutta la storia. Che rapporto c'era, ad esempio, tra il vecchio pastore Marius e il piccolo che Danielle portava in grembo quando lasciò il villaggio? Era il padrino del bimbo? Ne dubito.

La storia cominciò e fini nell'estate del 1982, lassú nell'alpeggio, che chiamiamo Peniel.

[...]

- Oggi sono calme, Danielle, - prosegui lui, - calme e arrendevoli, e stanno in gruppo. Non come ieri - ieri sentivano il temporale, e l'aria era piena di formiche volanti. Correvano a coda ritta. Ieri non puoi immaginare quanto erano antipatiche. E oggi sono melliflue. Dolci come il miele, Danielle.

Era l'inizio dell'estate e il prato era pieno di fiori: asfodeli, campanule, botton d'oro, arnica, colchici, primule e fiordalisi (che si dice siano le anime dei poeti).

Danielle aveva ventitre anni. Sua madre era morta e lei viveva con il vecchio padre, che aveva cinque vacche e qualche capra. Lavorava nel magazzino di una fabbrica di mobili ma nella primavera del 1982 la fabbrica era fallita, e cosí lei si era offerta di portare gli animali del padre sui monti - alla baita dove da bambina aveva passato numerose estati con la madre.

«Dove trova il coraggio di starsene lassù da sola?», si chiedeva la gente del villaggio. Ma la verità era che lei non aveva bisogno di coraggio. Quella vita le si addiceva - il silenzio, il sole, la lenta routine quotidiana. Come capita a molte persone che sono sicure di se stesse, Danielle metteva un po' soggezione. Ai balli del villaggio i ragazzi non facevano a pugni per farle da cavalieri nonostante danzasse bene e avesse fianchi larghi e piedi minuscoli. Non erano sicuri che avrebbe riso delle loro battute. E cosí dicevano che era lenta. In realtà, la sua cosiddetta lentezza era una forma di imperturbabilità. Aveva un viso largo - un po' come quello delle squaw indiane - occhi scuri, spalle ampie, polsi piccoli e mani grassocce e capaci. Era facile immaginare Danielle come madre di molti bambini - salvo che lei non sembrava avere alcuna fretta di trovarsi un uomo a far loro da padre.

[...]

John Berger

(http://www.tecalibri.info/L/LONGO-D_racconti.htm)

mercoledì 28 aprile 2010

La Crisi

La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall'angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. E' nella crisi che sorge l'inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere 'superato'.
Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi, è la crisi dell'incompetenza. L' inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c'è merito. E' nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze. Parlare di crisi significa incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece, lavoriamo duro. Finiamola una volta per tutte con l'unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla."

(Einstein)

giovedì 1 aprile 2010

uno.

La vita scorre lenta, noiosa, quasi anonima? Nel momento in cui sembra così le soluzioni possono essere solo due: trovare la forza di lasciare ciò che stavo per così dire facendo per qualcosa che esalti il mio essere uomo fatto di carne e sangue, imparando così ad amare la vita con una slancio perpetuo o abbandonarmi definitivamente, cedere a questo oblio quotidiano, che sta evirando la mia capacità intellettiva, i miei istinti, la mia capacità di desiderare, di amare di provare in nome del nulla del niente.
Le due strade sono contrarie non opposte. Gli opposti hanno dei fattori comuni interdipendenti, i contrari no. In questo caso che lega c’è solo l’uomo, null’altro. Sono diverse per premesse, per mezzi, per fini e conseguenze. In ogni passaggio, entrambe, sono specchio della propria essenza. La prima della vita e dell’amore, la seconda del nulla e dell’odio.
La distanza è breve ma in fondo le due rimangono distinte negli uomini condizionando le proprie vite, difficilmente uno naviga attraverso entrambe, sarebbe troppo insensato, anche se per l’uomo mai niente è troppo insensato.



domenica 7 marzo 2010

Mito di Eros...


Il giorno in cui nacque Afrodite, gli dèi si radunarono per una festa in suo onore. Tra loro c'era Poros, il figlio di Metis. Dopo il banchetto, Penìa era venuta a mendicare, com'è naturale in un giorno di allegra abbondanza, e stava vicino alla porta. Poros aveva bevuto molto nettare e, un po' ubriaco, se ne andò nel giardino di Zeus e si addormentò. Penìa, nella sua povertà, ebbe l'idea di avere un figlio da Poros: così si sdraiò al suo fianco e restò incinta di Eros. Ecco perché Eros è compagno di Afrodite e suo servitore: concepito durante la festa per la nascita della dea, Eros è per natura amante della bellezza - e Afrodite è bella.

Proprio perché figlio di Poros e di Penìa, Eros [...] è sempre povero e non è affatto delicato e bello come si dice di solito, ma al contrario è rude, va a piedi nudi, è un senza-casa, dorme sempre sulla nuda terra, sotto le stelle, per strada davanti alle porte, perché ha la natura della madre e il bisogno l'accompagna sempre. D'altra parte, come suo padre, cerca sempre ciò che è bello e buono, è virile, risoluto, ardente, è un cacciatore di prim'ordine, sempre pronto a tramare inganni; desidera il sapere e sa trovare le strade per arrivare dove vuole, e così impiega nella filosofia tutto il tempo della sua vita, è un meraviglioso indovino, e ne sa di magie e di sofismi. E poi, per natura, non è né immortale né mortale. Nella stessa giornata sboccia rigoglioso alla vita e muore, poi ritorna alla vita grazie alle mille risorse che deve a suo padre, ma presto tutte le risorse fuggon via: e così non è mai povero e non è mai ricco.

Vive inoltre tra la saggezza e l'ignoranza [...]

"Ma allora chi sono i filosofi, se non sono né i sapienti né gli ignoranti?"

"E' chiaro chi sono: anche un bambino può capirlo. Sono quelli che vivono a metà tra sapienza ed ignoranza, ed Eros è uno di questi esseri. La scienza, in effetti, è tra cose più belle, e quindi Eros ama la bellezza: è quindi necessario che sia filosofo e, come tutti i filosofi, è in posizione intermedia tra i sapienti e gli ignoranti. La causa di questo è nella sua origine, perché è nato da un padre sapiente e pieno di risorse e da una madre povera tanto di conoscenze quanto di risorse.

www.ilgiardinodeipensieri.eu/testi/simposio.html

martedì 2 marzo 2010

Tutto L'universo Obbedisce All'amore

Rara la vita in due... fatta di lievi gesti,
e affetti di giornata... consistenti o no,
bisogna muoversi... come ospiti... pieni di premure
con delicata attenzione... per non disturbare
ed è in certi sguardi che... si vede l'infinito

Stridono le auto... come bisonti infuriati,
le strade sono praterie...
accanto a grattacieli assolati,
come possiamo... tenere nascosta... la nostra intesa
ed è in certi sguardi... che s'intravede l'infinito

Tutto... l'universo... obbedisce... all'amore,
come... puoi tenere... nascosto... un amore.
ed è così... che ci trattiene... nelle sue catene,
tutto... l'universo... obbedisce... all'amore

Come possiamo... tenere nascosta... la nostra intesa
ed è in certi sguardi... che si nasconde l'infinito

Tutto... l'universo... obbedisce... all'amore
come... puoi tenere... nascosto... un amore,
ed è così... che ci trattiene... nelle sue catene
tutto... l'universo... obbedisce all'amore...
(obbedisce all'amore)

Franco Battiato


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giovedì 18 febbraio 2010

martedì 16 febbraio 2010

Proposizione 6.54


Colui che mi comprende, infine le riconosce insensate [le proposizioni], se è asceso per esse – su di esse- oltre esse. (Egli deve, per così dire, gettare via la scala dopo essere asceso su di essa.) Egli deve trascendere queste proposizioni; è allora che egli vede rettamente il mondo

Ludwig Wittgenstein