giovedì 17 febbraio 2011

Egitto, Iran e Tunisia fanno i conti con la libertà

Una libertà nuovamente desiderata
Da qualche mese sta succedendo qualcosa di veramente significativo. In Egitto e Tunisia c’erano due dittature che, in misure diverse, impedivano agli uomini di essere liberi. Tale desiderio era così ostacolato che le persone quasi si dimenticavano di avere certi diritti e libertà. Ma in loro fortunatamente la pianta aveva ancora radici. Poco è bastato a ridestarli, a fargli ricordare che per essere felici non bastava avere del cibo ogni giorno in cambio dell’assenso. Non bastava avere una piccolissima fetta di economia per illudersi di essere a posto. Fino ad allora i dittatori erano riusciti a tenerli in pugno con poco.
Ma d’un tratto il pane costa troppo, l’economia si blocca, la fame aumenta e le promesse di libertà, fatte spesso ma mai realizzate, esauriscono il loro effetto e risvegliano i cuori delle persone. Molti aprono gli occhi e scoprono di non essere soli si fanno forza e vanno in piazza a protestare. Sono felici perché per la prima volta non hanno così paura, non sono soli, si guardano attorno e non sono nel letto da soli a sognare prima di addormentarsi, ma sono lì con altri mille a urlare il loro bisogno di mangiare, di studiare, di avere una casa e di lavorare.
Urlano sempre più forte senza stancarsi, sono stufi della mancanza di strutture, dei problemi economici dovuti ad una economia malata e ineguale che non fa girare nel modo giusto la ricchezza. Anzi la incanala solo in certe direzioni. Le proteste continuano per giorni. Partecipano molte persone, anche quelle che non hanno poi così problemi economici e, infondo, potrebbero anche pagarsi un viaggio per emigrare. Ma non lo fanno. Anzi, arrivano notizie che alcuni, sentendo delle proteste, tornano a ravvivano la speranza di poter magari poi costruire qualcosa di serio e intelligente.
Sì, perché la paura c’è di fare tanta fatica e rischiare la vita per poi far salire qualcun altro che alla fine si adegua alle meccaniche malate del dittatore diventando lo stesso. Ma se tornano gli emigrati che sanno come va il mondo libero allora si deve urlare più forte.
Purtroppo in Tunisia è successo così. Ben Alì è andato ma è stato sostituito da una copia. Invece in Egitto sarà un’altra storia. In Iran?

La democrazia in Egitto non arriverà (almeno per ora)
In Egitto potrà essere un’altra storia. Ora c’è l’esercito al comando ma aspirare ad un sistema democratico in Egitto sarebbe un grave errore. La democrazia per avere inizio deve avere come base la democrazia. È ovvio che dire così sembra insensato ma non è un errore.
Per prosperare un sistema democratico ha bisogno di un luogo che già vive secondo le caratteristiche della democrazia. La democrazia ha come elementi distintivi un libero dibattito, la possibilità di poter pensare ciò che si ritiene più giusto, una libera informazione. Insomma, un popolo, per poter attuare delle elezioni libere in senso democratico, deve essere libero e deve essere libero in un paese che difende la libertà, un paese che lo mette nelle condizioni di essere libero.
In Egitto, dopo trent’anni di dittatura Mubārak non è in grado subito di intraprendere elezioni libere e sostenere e costruire un nuovo ordinamento democratico. Serve tempo, serve un nuovo capo che guidi il popolo nella libertà. Che lo guidi mettendolo nelle condizioni ideali, politiche e strutturali di poter esercitare le proprie libertà. Deve creare gli spazzi delle libertà, deve insegnare la libertà. È successo così in tutti gli stati occidentali. Iraq e Afganistan sono esempi negativi.

Segnali preoccupanti dalla Repubblica Democratica Italiana
In Italia si parla spesso di Berlusconi come il dittatore italiano. Molti sono andati nelle piazze a manifestare il proprio disappunto contro di lui, contro il suo modo di fare politica troppo personalistico. Sono sicuri di essere anche loro come quelle persone nelle piazze in Egitto, Iran e Tunisia. Anzi, prendono coraggio da ciò che succede lì e sperano di riuscire a far cadere la dittatura anche qui.
Ma c’è un fraintendimento. Anzi, c’è una mancanza di rispetto. Chi crede di dover far cadere una dittatura in Italia manca di rispetto nei confronti di quanti rischiano la vita protestando in Iran. Di quanti non possono avere delle opinioni perché sennò vengono fatti sparire. Non mi sembra che in Italia manchino le libertà di opinione, manchi la possibilità di votare ciò che si vuole senza avere un mitra puntato. Non mi sembra che in Italia si rischi di morire di fame perché un dittatore blocca l’economia, non mi sembra che in Italia chi è al governo abbia fatto un colpo di stato o comprato le elezioni. Basta non votarlo o aspettare che lo giudichino colpevole. Non è sufficiente far processare qualcuno per renderlo colpevole. I processi servono per capire se uno è colpevole. Altrimenti sarebbe semplice far cadere un governo, basterebbe ogni volta accusare il presidente di turno.
Sarebbe comunque un errore non vedere ciò che abbiamo in Italia, ciò che possiamo fare in Italia, che possiamo dire, leggere, diventare e fraintendere l’odio politico che slogan e comportamenti che dovrebbero far vergognare di fronte a tutti quei popoli che non possono essere liberi davvero.



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