mercoledì 15 giugno 2011

Alain Finkielkraut "Un cuore intelligente", recensione


Cosa significa “cuore intelligente”? Dopo aver letto il libro di Alain Finkielkraut ho dovuto approfondire il significato salomonico del concetto visto che dal testo non si emerge con una definizione chiara.
Il libro inizia proprio dal re Salomone che nell’Antico Testamento implora l’Altissimo di concedergli un cuore intelligente. Quasi una via di mezzo tra un’intelligenza strumentale ed utilitarista e un’altra che è il suo contrario, cioè basata sull’ignoranza, sul solo sentimento e sul pregiudizio. La via di mezzo, per lo scrittore, è quindi definibile “sagacia affettiva”, ma ancora non si comprende cosa sia davvero.
Per risolvere il quesito, dato l’indubbio silenzio di Dio, allora Finkielkraut si affida alla letteratura con la speranza (quasi certezza) di trovare una risposta. La risposta cercata è duplice, capire cosa sia un cuore intelligente, visto che non è per nulla chiaro, e diventare nel contempo intelligenti di cuore visto che Dio non vuole o forse è infondo incapace di dare visto il suo silenzio. Finkielkraut inizia così da Salomone che domanda a Dio un qualcosa di non spiegato ma intuitivamente desiderabile e successivamente cerca una risposta in un luogo non indicato da Salomone ma da se stesso, un luogo quindi forse errato, non adeguato per la risposta.

Salomone il Saggio durante i primi anni di regno un giorno si recò sull’altura di Gabaon per offrire olocausti a Dio. Il Signore apparve a Salomone chiedendogli: «Chiedimi ciò che io devo concederti». Salomone non risponde direttamente, ma per arrivare alla richiesta parte dalla sua storia, cioè da Davide suo padre. Salomone dice a Dio: « ...io sono un ragazzo; non so come regolarmi. Il tuo servo è in mezzo al tuo popolo che ti sei scelto, popolo così numeroso che non si può calcolare né contare. Concedi al tuo servo un cuore docile perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male, perché chi potrebbe governare questo popolo così numeroso?» (1 Re 3,7-9) E il Signore rispose a Salomone: «...Ecco, ti concedo un cuore saggio e intelligente: come te non ci fu alcuno prima di te né sorgerà dopo di te. » (1 Re 3,12)

Salomone chiede di avere un cuore docile a Dio, lo chiede sottolineando il fatto di non essersi scelto quel ruolo e quel popolo e che quindi, vista la possibilità datagli da Dio, chiede con fermezza la capacità di governare con saggezza. In risposta riceve il dono chiesto e molto altro grazie alla sua umiltà per non aver chiesto ricchezze e vita eterna.
Cosa ci fa capire questo passo citato dalla bibbia? Ci fa capire, stando al testo, innanzi tutto che nella storia l’unico uomo a ricevere un cuore intelligente è stato il re Salomone. L’altra cosa che si può capire è che a donargli la saggezza è stato Dio, il Dio ebraico. L’unico capace di donare un cuore intelligente fin’ora, stando alla bibbia, è stato Dio. Nella storia che conosciamo, per quanto la bibbia possa essere un’attendibile fonte storica, questo solo caso.
Alain Finkielkraut nel suo personale e duplice tentativo di conoscere e di ottenere un cuore intelligente inizia la sua ricerca dalla richiesta a Dio di Salomone ma abbandona subito senza nemmeno fare un tentativo quell’ambito dove proprio Salomone, e nessun altro dopo di lui, era riuscito a ricevere una risposta. Esclude che oggi sia ancora possibile chiedere a Dio un cuore intelligente. Esclude a priori questa possibilità dicendo che Dio tace e non interviene nelle nostre vicende, quindi è molto probabile che non esista nemmeno.
Il problema non è l’affermare qui che Dio oggi abbia questa capacità, ma il problema è che se si prende sul serio l’implorazione di Salomone nella richiesta di una saggezza trascendentale allora si deve, almeno come possibilità, tenere in considerazione l’unico che ha risposto a una così importante preghiera. Finkielkraut esclude così il rapporto con Dio e  l’unico ambito che sceglie di scandagliare è la letteratura senza la quale la grazia di un cuore intelligente ci sarebbe preclusa; coma dice nell’introduzione e nella conclusione.


Riassumendo la ricerca che viene intrapresa dal filosofo francese inizia con due incertezze. La prima è che non si spiega minimamente cosa sia o potrebbe essere un cuore intelligente e la seconda è che l’ambito dell’analisi esclude a priori l’unico luogo dove Salomone trovò una risposta alla sua richiesta, senza dare soddisfacenti motivazioni.

La letteratura è l’unico ambito scandagliato, è l’unico ambito che può far capire qualcosa all’uomo, l’unico che lo fa crescere. Pretesa forse eccessiva, che comunque ha del vero. Sì, la letteratura educa l’uomo ma non da sola, può essere pericolosa senza educazione. Finkielkraut tenta proprio in questa direzione, facendo una scelta tra le opere più importanti del ‘900 e cercando di introdurre il lettore, e se stesso, ad una crescita graduale. Ogni testo dovrebbe dirci un po’ alla volta come dovrebbe essere, ed essere utilizzato, questo cuore intelligente.
Stando alle premesse questo libro dovrebbe essere come un sentiero che una volta percorso ci dovrebbe far trovare in cima alla montagna, più uomini che mai e pronti a scendere nella società assolutamente preparati ad affrontare qualsiasi situazione. Con migliori risultati ovviamente dei nostri antenati immersi nelle vicende umane particolari del secolo passato. Quindi uomini nuovi dotati di un cuore nuovo, saggi, intelligenti che non cadranno più in illusioni perniciose come fascismi, comunismi, razzismi e pregiudizi dominanti. Finalmente la libertà e la verità saranno dell’uomo. Quante pretese.... Sicuramente la letteratura non è in grado da sola.

Facendo un certo sforzo ho cercato di passare oltre le mie obiezioni iniziali ed ho sottoposto il mio giovane cuore ai consigli narrativi di Alain Finkielkraut. Ecco cosa il mio cuore ha guadagnato. Su nove romanzi solo tre mi hanno colpito:

Tutto scorre – Vasilij Grossman 

«Il Male, in altri termini, non deriva da una degenerazione dello slancio originario. Il Male è nello slancio stesso, nel fatto di localizzare il Male, attribuirgli nome e indirizzo e dedicarsi con foga redentrice al suo annientamento.» (47)

«chi ha inventato quella parola: kulakaglia? Che sia stato Lenin? Quale tormento si è addossato! Per ucciderli, si è dovuto spiegare che i kulaki non erano uomini. Sì, come quando i tedeschi dicevano: i giudei non sono uomini. Questo “come”, questa insopportabile analogia fra coloro odiavano i kulaki in nome dell’amore per l’umanità e coloro che odiavano l’umanità nell’ebreo si è faticosamente aperta una strada nella mente [...] Ancor oggi riflettere su tale analogia è cosa estremamente delicata» (50)

Il primo uomo – Albert Camus

«Ma Camus ha anche un altro motivo per pronunciare la sacrilega sconfessione di quella Grande Fagocitatrice che è la storia: la fortuna di essere stato povero in mezzo alla bellezza; l’esperienza giovanile della debordante generosità del’’essere. Il primo uomo rende grazie alla povertà perché, non avendogli messo a disposizione artifici, apparecchi, strumenti, divertimenti e tutti i diaframmi che ovattano le esistenze dei borghesi, gli ha permesso di vivere a diretto contatto con gli elementi. Nessuna ricchezza lo separava da lusso del mondo naturale. Quel mondo, lui non lo ha soltanto contemplato. Prima di diventarne, una volta pacificato, spettatore, lo ha gustato, toccato, assaporato, respirato e si è ubriacato senza limiti dei suoi aromi; ha corso a perdifiato, ha nuotato nella tiepida acqua del mare, ha vissuto sotto il sole in uno splendore regale. Sprovvisto del superfluo, a anche di una parte del necessario, ha conosciuto la forza e la gloria. [...] La privazione non è soltanto uno scandalo: in alcuni luoghi, in alcuni momenti, è un privilegio, e persino una grazia. E ciò che lui, Camus, deve alla cultura non è aver potuto provare quella grazia ma poterla esprimere.» (99-101)

La macchia umana – Philip Roth

«“Tutti sanno” [...] è questo il lugubre ritornello della Macchia Umana. Tutti sanno: il cliché piomba con tutto il suo peso nella vita reale. Tutti sanno: un narratore senza volto formatta il mondo umano. Tutti sanno: gli uomini che si sono liberati della tradizione cadono sotto il giogo dell’opinione; il vuoto lasciato dal potere visibile della comunità è sostituito dall’anonimo potere sociale [...] e il professore constata con spavento che i principi pedagogici adottati per sottrarre il cuore e la mente dei figli al dominio del Tutti sanno non sono serviti assolutamente a nulla: “ Con tutta l’istruzione prescolare che avevano ricevuto. Con tutte le cose che gli avevano letto i genitori. Le enciclopedie. La preparazione prima delle interrogazioni. I dialoghi durante la cena. Gli infiniti ammaestramenti sulla multiforme natura umana. L’analisi del linguaggio.” – ed ecco che quel figlio superficiale erettori a Super Io accetta fantasie hollywoodiane come se fossero verità. Tutti sanno, o del clamoroso fallimento della cultura» (128)

Preferisco lasciare le citazioni senza commento perché si commentano da sole. Ecco cosa ho guadagnato da questa lettura, una serie di preziose esperienze di romanzo che possono essere utili nella mia vita ma che sono ben lontane dal produrre in me un Cuore Intelligente.

mercoledì 1 giugno 2011

Amartya Sen al Festival dell’Economia di Trento


26 maggio 2011

N.B. Quanto segue è la trascrizione di appunti non rivisti dai relatori, ma solo ed esclusivamente dal sottoscritto.
  
Il festival dell’Economia di Trento 2011 dal titolo “I confini della libertà economica”, quest’anno ha invitato per l’inaugurazione l’economista Amartya Sen, premio Nobel 1998 conosciuto nel mondo per i suoi studi sul rapporto tra libertà ed economia.

Nessuno meglio di lui avrebbe potuto iniziare la kermesse trentina di quest’anno. Così inizia Tito Boeri (direttore scientifico) che, dopo aver fatto una breve ma convinta presentazione del festival, spiega alla platea del Sociale chi sia questo Amartya Sen. Infatti molti uditori sono lì senza conoscerlo, perché invitati da qualche professore o conoscente; o per ascoltare l’unico economista che ha reso accessibile l’economia anche ai non addetti. Infatti i suoi libri sono alla portata di tutti, utilizzando termini semplici che chiunque può capire. Questo però non vale del tutto anche per i contenuti che, a mio parere, possono essere facilmente fraintesi e interpretati a piacere (politico o ideologico)...come ha dimostrato il dibattito finale. Boeri spiega che Sen è l’unico economista contemporaneo ad aver trattato il rapporto tra libertà ed economia di mercato, analizzando i rapporti tra libertà e dittatura.

Prende la parola Stefano Zamagni (presidente dell'Agenzia per le Onlus), presente all’incontro in quando amico di Sen dai tempi della sua specializzazione all'Università di Oxford. Zamagni cerca di spiegare la specificità degli studi di Sen sulla libertà. A differenza di Boeri, Zamagni va più a fondo descrivendo le tre aree di studio nelle quali Sen ha lavorato negli ultimi decenni.
La prima area riguarda le effettive libertà che l’economia di mercato non valuta, che lascia fuori dai suoi calcoli. Aspetto che poi Sen approfondirà nel suo intervento.
La seconda riguarda l’analisi del rapporto tra povertà e disuguaglianza che trova la sua origine non in una mancanza di reddito ma prima ancora in una mancanza di libertà. Sen introduce una nuova definizione di libertà. Prima si conosceva la libertà di non essere invasi, cioè una libertà da; e una libertà come immunità, cioè una libertà di. Sen innova il concetto di libertà con un nuovo significato, libertà come capacità. Zamagni sottolinea questo sviluppo come necessario visto che i primi due significati oggi non bastano più. Così Sen può costruire la specificità del suo pensiero che si può riassumere come libertà di poter scegliere.
La terza area è l’epistemologia, cioè lo studio dei fondamenti e delle ragioni dell’economia. Lo fa affermando che l’economia nasce da una costola dell’etica. Questa posizione si contrappone a quanti sostengono l’impossibilità di un rapporto tra economia ed etica, cioè in chi si basa sull’assunto che vede l’uomo come un Homo economicus. Chi separa così i due campi attua una specie di “secolarizzazione” dell’economia. Sen è convinto che non si possa separare ciò che nell’uomo, e nella realtà, si trova unito.
Il filone nel quale Sen si inserisce è lo “Experimental Economics”. Vuole allargare il ragionamento economico dimostrando di essere un’antiriduzionista.
Zamagni conclude dicendo che Sen unisce due linee di pensiero che in Grecia e in India erano unite. Riannoda il Pensiero Calcolante e il Pensiero Pensante nella convinzione che si possa fare economia senza separare i due campi.

Amartya Sen inizia la sua Lectio Magistralis dicendo che il titolo del proprio intervento potrebbe essere “La portata e i limiti della libertà economica”. Sen inizia parlando della crisi del 2008 che coinvolse l’economia mondiale. Quella crisi, dice Sen, creò grande imbarazzo per il fatto che toccò i singoli risparmiatori che persero in prima persona i loro risparmi. L’etica che stava alla base dell’economia di mercato e che spinse le società a guardare sempre meno l’uomo espandendo a dismisura le proprie libertà fu il guadagno accompagnato da un eccesso di libertà.
Sen si chiede: «Ma cosa si dovrebbe fare per risolvere i problemi che la crisi ci presenta ancora oggi? Si dovrebbe forse tornare a comprendere la definizione di capitalismo? E nel qual caso quali caratteristiche dovrebbe avere oggi dopo tutte le sue trasformazioni il capitalismo?»
Le tre principali caratteristiche del capitalismo sono il mercato, la proprietà privata e l’utile. Stando ai manuali queste tre sono necessarie, ma se si guarda la realtà del giorno d’oggi le caratteristiche sono altre per il fatto che la maggior parte delle transazioni avviene fuori dai mercati e non sono nemmeno incentrate sul profitto. Quindi si può dire che la parola capitalismo è usata impropriamente. È esaurita.
Qui Sen fa una piccola parentesi dicendo che uno dei motori dell’economia è la fiducia. Questo aspetto non è considerato dai manuali. La fiducia si trasforma in guadagno e in moneta, infatti il suo contrario, la sfiducia, congela i mercati del credito.
Tornando al 2008 il problema è stato che il capitalismo ha avuto, ed ha ancora, la sua forza nelle omissioni e non nelle commissioni. Omette certi fattori per dare spazio illimitato alla libertà di guadagno, all’utile. Il suo grande limite è stato il mercato monolitico del profitto non votato alla varietà. Ha omesso la libertà umana che non lo ha potuto correggere, a causa della sua fissità, nei casi in cui aumentarono la povertà, l’ineguaglianza e l’iniquità.
Con questo Sen vuol dire che è sbagliato cercare di capire qual è il miglior tipo di capitalismo in base a caratteristiche passate e non più attuali. Per capire quali dovrebbero essere gli equilibri tra stato e istituzioni si dovrebbe comprendere cos’è la libertà economica. Si dovrebbe capire di cosa è fatta la vita vera condotta nel concreto dalle persone. Si dovrebbero capire le cause della ricchezza e della povertà reali, quali siano le libertà di cui godono le persone e che vita hanno nel quotidiano.
Quali sono le capacità dell’uomo in una data situazione? Quali diritti una persona può effettivamente praticare? Cosa può fare uno stato per permettere ad un individuo di poter fare ciò che desidera? Solo con queste domande si potrà trovare una soluzione alla crisi.

Il fine ultimo al quale tende la democrazia, come unica forma di governo capace di far emergere ciò che l’uomo desidera e di cui ha bisogno nel concreto, è la libertà come capacità.
Oltre ad essere e fare ciò che ritengo più giusto, dopo essermi confrontato in un ragionamento pubblico proprio della democrazia, l’aspetto principale è quello di poter decidere cosa voglio scegliere. Per essere veramente libero devo poter fare “qualsiasi” cosa, anche se quel qualcosa non è la mia professione. Devo avere libertà di scelta.
Non si deve limitare la libertà ma espanderla, liberare l’idea di libertà.