mercoledì 1 giugno 2011

Amartya Sen al Festival dell’Economia di Trento


26 maggio 2011

N.B. Quanto segue è la trascrizione di appunti non rivisti dai relatori, ma solo ed esclusivamente dal sottoscritto.
  
Il festival dell’Economia di Trento 2011 dal titolo “I confini della libertà economica”, quest’anno ha invitato per l’inaugurazione l’economista Amartya Sen, premio Nobel 1998 conosciuto nel mondo per i suoi studi sul rapporto tra libertà ed economia.

Nessuno meglio di lui avrebbe potuto iniziare la kermesse trentina di quest’anno. Così inizia Tito Boeri (direttore scientifico) che, dopo aver fatto una breve ma convinta presentazione del festival, spiega alla platea del Sociale chi sia questo Amartya Sen. Infatti molti uditori sono lì senza conoscerlo, perché invitati da qualche professore o conoscente; o per ascoltare l’unico economista che ha reso accessibile l’economia anche ai non addetti. Infatti i suoi libri sono alla portata di tutti, utilizzando termini semplici che chiunque può capire. Questo però non vale del tutto anche per i contenuti che, a mio parere, possono essere facilmente fraintesi e interpretati a piacere (politico o ideologico)...come ha dimostrato il dibattito finale. Boeri spiega che Sen è l’unico economista contemporaneo ad aver trattato il rapporto tra libertà ed economia di mercato, analizzando i rapporti tra libertà e dittatura.

Prende la parola Stefano Zamagni (presidente dell'Agenzia per le Onlus), presente all’incontro in quando amico di Sen dai tempi della sua specializzazione all'Università di Oxford. Zamagni cerca di spiegare la specificità degli studi di Sen sulla libertà. A differenza di Boeri, Zamagni va più a fondo descrivendo le tre aree di studio nelle quali Sen ha lavorato negli ultimi decenni.
La prima area riguarda le effettive libertà che l’economia di mercato non valuta, che lascia fuori dai suoi calcoli. Aspetto che poi Sen approfondirà nel suo intervento.
La seconda riguarda l’analisi del rapporto tra povertà e disuguaglianza che trova la sua origine non in una mancanza di reddito ma prima ancora in una mancanza di libertà. Sen introduce una nuova definizione di libertà. Prima si conosceva la libertà di non essere invasi, cioè una libertà da; e una libertà come immunità, cioè una libertà di. Sen innova il concetto di libertà con un nuovo significato, libertà come capacità. Zamagni sottolinea questo sviluppo come necessario visto che i primi due significati oggi non bastano più. Così Sen può costruire la specificità del suo pensiero che si può riassumere come libertà di poter scegliere.
La terza area è l’epistemologia, cioè lo studio dei fondamenti e delle ragioni dell’economia. Lo fa affermando che l’economia nasce da una costola dell’etica. Questa posizione si contrappone a quanti sostengono l’impossibilità di un rapporto tra economia ed etica, cioè in chi si basa sull’assunto che vede l’uomo come un Homo economicus. Chi separa così i due campi attua una specie di “secolarizzazione” dell’economia. Sen è convinto che non si possa separare ciò che nell’uomo, e nella realtà, si trova unito.
Il filone nel quale Sen si inserisce è lo “Experimental Economics”. Vuole allargare il ragionamento economico dimostrando di essere un’antiriduzionista.
Zamagni conclude dicendo che Sen unisce due linee di pensiero che in Grecia e in India erano unite. Riannoda il Pensiero Calcolante e il Pensiero Pensante nella convinzione che si possa fare economia senza separare i due campi.

Amartya Sen inizia la sua Lectio Magistralis dicendo che il titolo del proprio intervento potrebbe essere “La portata e i limiti della libertà economica”. Sen inizia parlando della crisi del 2008 che coinvolse l’economia mondiale. Quella crisi, dice Sen, creò grande imbarazzo per il fatto che toccò i singoli risparmiatori che persero in prima persona i loro risparmi. L’etica che stava alla base dell’economia di mercato e che spinse le società a guardare sempre meno l’uomo espandendo a dismisura le proprie libertà fu il guadagno accompagnato da un eccesso di libertà.
Sen si chiede: «Ma cosa si dovrebbe fare per risolvere i problemi che la crisi ci presenta ancora oggi? Si dovrebbe forse tornare a comprendere la definizione di capitalismo? E nel qual caso quali caratteristiche dovrebbe avere oggi dopo tutte le sue trasformazioni il capitalismo?»
Le tre principali caratteristiche del capitalismo sono il mercato, la proprietà privata e l’utile. Stando ai manuali queste tre sono necessarie, ma se si guarda la realtà del giorno d’oggi le caratteristiche sono altre per il fatto che la maggior parte delle transazioni avviene fuori dai mercati e non sono nemmeno incentrate sul profitto. Quindi si può dire che la parola capitalismo è usata impropriamente. È esaurita.
Qui Sen fa una piccola parentesi dicendo che uno dei motori dell’economia è la fiducia. Questo aspetto non è considerato dai manuali. La fiducia si trasforma in guadagno e in moneta, infatti il suo contrario, la sfiducia, congela i mercati del credito.
Tornando al 2008 il problema è stato che il capitalismo ha avuto, ed ha ancora, la sua forza nelle omissioni e non nelle commissioni. Omette certi fattori per dare spazio illimitato alla libertà di guadagno, all’utile. Il suo grande limite è stato il mercato monolitico del profitto non votato alla varietà. Ha omesso la libertà umana che non lo ha potuto correggere, a causa della sua fissità, nei casi in cui aumentarono la povertà, l’ineguaglianza e l’iniquità.
Con questo Sen vuol dire che è sbagliato cercare di capire qual è il miglior tipo di capitalismo in base a caratteristiche passate e non più attuali. Per capire quali dovrebbero essere gli equilibri tra stato e istituzioni si dovrebbe comprendere cos’è la libertà economica. Si dovrebbe capire di cosa è fatta la vita vera condotta nel concreto dalle persone. Si dovrebbero capire le cause della ricchezza e della povertà reali, quali siano le libertà di cui godono le persone e che vita hanno nel quotidiano.
Quali sono le capacità dell’uomo in una data situazione? Quali diritti una persona può effettivamente praticare? Cosa può fare uno stato per permettere ad un individuo di poter fare ciò che desidera? Solo con queste domande si potrà trovare una soluzione alla crisi.

Il fine ultimo al quale tende la democrazia, come unica forma di governo capace di far emergere ciò che l’uomo desidera e di cui ha bisogno nel concreto, è la libertà come capacità.
Oltre ad essere e fare ciò che ritengo più giusto, dopo essermi confrontato in un ragionamento pubblico proprio della democrazia, l’aspetto principale è quello di poter decidere cosa voglio scegliere. Per essere veramente libero devo poter fare “qualsiasi” cosa, anche se quel qualcosa non è la mia professione. Devo avere libertà di scelta.
Non si deve limitare la libertà ma espanderla, liberare l’idea di libertà.


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